Cosa abbiamo imparato in un anno di DAD?
Dai primi giorni di marzo del 2020 sono trascorsi circa 13 mesi in cui l’emergenza sanitaria ha stravolto l’organizzazione scolastica apportando importanti trasformazioni che hanno cambiato la quotidianità di insegnanti, studenti e famiglie. Nell’aria c’è grande fermento e voglia di ricominciare, eppure dovremo inevitabilmente fare i conti con un periodo di assestamento che continuerà a causare trasformazioni ed evoluzioni del sistema scolastico. Proprio per questo motivo è necessario riflettere sulle evoluzioni avvenute e su quelle in atto, perché possono darci insegnamenti decisivi sul modo di affrontare il futuro nell’ottica di sostegno e accompagnamento di bambini e ragazzi già provati da un periodo così difficile. La storia insegna sempre, come già intuito dal saggio Giambattista Vico con il suo principio dei corsi e ricorsi storici. Eppure, grazie al Covid19 possiamo dire di essere stata la prima generazione ad aver vissuto una pandemia tra web cam, piattaforme istituzionali, smart working e lezioni online, dando continuità a tutte le attività in corso in modalità virtuale.
Considerando l’ultimo anno passato, infatti, possiamo individuare due momenti fondamentali: la prima chiusura della scuola con la conseguente fase di riorganizzazione e la ripresa della didattica a distanza in seguito alla nuova fase di emergenza Covid19. Sgomento, confusione, disordine iniziale e un grande istinto di sopravvivenza che ha consentito alle insegnanti di cambiare le proprie abitudini e un metodo ormai consolidato da anni, per dare spazio alla DAD. Abbiamo sperimentato, senza entrare ancora nel merito della questione, che gli insegnanti hanno avuto la forza di reagire nonostante la mancanza di praticità e conoscenza dei device elettronici, che i ragazzi hanno imparato a guardarsi dentro e a superare paure che nemmeno sapevano di avere e che le famiglie sono la forza motrice di questa società, che sebbene non sempre sostenute e inoraggiate, riescono ancora a motivare, sorreggere e proteggere i loro figli.
Cosa abbiamo imparato con la DAD: diamo voce agli insegnanti
Non tutti i mali vengono per nuocere, recita il proverbio e infatti la DAD ci ha insegnato molto anche per il futuro, quando il Covid19 sarà solo un brutto ricordo e la scuola non temerà più le lezioni online.
Abbiamo imparato che è necessario far parlare i bambini, consentendo loro di raccontare sensazioni, paure e mancanze, per tirare fuori il bello e il brutto di questa esperienza in DAD. Abbiamo sperimentato che l’ascolto è essenziale perché mantiene vivo il rapporto tra insegnante e alunno, nonostante la distanza.
Abbiamo imparato che è altrettanto fondamentale mantenere le relazioni tra i componenti della classe, qualsiasi sia lo strumento utilizzato: messaggi, videochiamate, telefonate o disegni che permettano di esprimere le proprie emozioni. Appunto, le emozioni. La parte più importante della scuola non è sempre garantire contenuti, standard elevati di insegnamento e obiettivi didattici da raggiungere, ma sostegno nelle emozioni, per dare importanza alla persona prima che al programma da terminare, al bambino con il suo background familiare e culturale piuttosto che alle tabelline e ai verbi da imparare. È quindi fondamentale prendersi cura della parte emozionale dei ragazzi affinché non tengano dentro i pensieri negativi e distruttivi, ma riescano a rielaborarli nel modo giusto con l’aiuto di un adulto attento e maturo.
Abbiamo compreso che parlare è più importante che scrivere e che le parole consentono di ricevere feedback sul proprio stato d’animo, sulle problematiche familiari in corso, sui disagi di una pandemia che ha lasciato molti papà senza lavoro, che ha costretto milioni di coppie in disaccordo a vivere insieme sotto lo stesso tetto per 24 ore e tutto il marcio che un bambino talvolta deve sopportare stando a casa davanti al suo pc. Parlare può aiutarlo a esorcizzare le paure, a superare gli ostacoli e a mantenere viva la speranza in un futuro migliore.
Abbiamo imparato che la Scuola è l’istituzione più importante all’interno della società, sebbene bistrattata e miscompresa, resta pur sempre un luogo di accoglienza e protezione dove poter essere se stessi senza sentirsi giudicati. Anzi, a scuola, anche se in DAD è possibile essere ascoltati, aiutati e compresi nonostante la distanza di una video lezione e di una piattaforma che talvolta funziona male.
Questo significa che la maestra deve mantenere legami forti anche attraverso piccole attività come il racconto di una storia letta direttamente da lei e non assegnata o riprodotta da un video. Ma anche appunti scritti di suo pugno o schemi realizzati a mano e poi inviati, come per dire: "ragazzi io sono qui, è cambiato il metodo ma la maestra è sempre la stessa e non vi abbandona".
Abbiamo imparato che la DAD può funzionare anche a bassa densità virtuale e cioè trasformando la casa in laboratori dove cercare oggetti, guardare il mondo dalla finestra, osservare la luna e raccontarla oppure ascoltando tutti i rumori che sono intorno. Un sistema per fare lezione in modo multidisciplinare per poter far diventare la classe inclusiva attraverso l’uso di linguaggi diversi e personalizzati.
Abbiamo imparato l’importanza della collaborazione tra docenti (non era scontato) e che, dunque, il confronto può arricchire la classe. Che è possibile cambiare le proprie convinzioni in nome di idee migliori delle nostre, dando dimostrazione che apprendimento e insegnamento fanno spesso rima con cambiamento.
Abbiamo compreso che lavorare in gruppo è meglio che restare isole e anche in modalità DAD abbiamo sperimentato che il lavoro di gruppo e la collaborazione è l’insegnamento migliore che è possibile trasmettere.
Cosa abbiamo imparato della DAD grazie alle famiglie
Poiché molti insegnanti sono anche genitori, abbiamo potuto comprendere tanto anche da questo doppio ruolo.
Abbiamo imparato, ad esempio, che la didattica a distanza è talvolta invadente e intrusiva e che può essere molto fastidioso farsi vedere dai propri alunni senza trucco, con i capelli spettinati e con la tuta da casa e che i ragazzi spesso provano le nostre stesse sensazioni.
Abbiamo capito che molti genitori restano dietro alla webcam senza farsi vedere ma suggerendo cosa dire ai propri figli. Che ascoltano, vivono la classe, entrano nelle dinamiche della scuola pur restando sempre nascosti e questo atteggiamento azzera la privacy delle insegnanti, che si sentono spesso soffocate. Che gli stessi genitori mostrano approvazione o disprezzo verso il metodo utilizzato dai docenti veicolando anche l’entusiasmo degli alunni, che assorbono tutta la pressione.
Abbiamo compreso che i colloqui con i genitori sono fondamentali per capire lo stato d’animo dei loro figli, che anche se la scuola è ormai un canale aperto e accessibile a tutti perché entra nelle case come un telegiornale, dietro al pc o all’iPad ci sono complessità che è possibile capire solo se si creano relazioni e ci si predispone all’ascolto. Sapevamo anche prima che nessuna classe è completamente omogenea, che ci sono bambini più seguiti, altri più forti e indipendenti e altri, ancora, che sono fragili e spaventati da qualsiasi cambiamento. Ma la differenza rispetto al passato è la maggiore difficoltà ad aiutare stando di fronte ad un pc a fare lezione; abbiamo compreso che è necessario uno sforzo maggiore da parte dei docenti che devono essere aperti all’ascolto leggendo negli occhi dei ragazzi turbamenti e paure.
Relazione, affettività, legami e inclusività, queste sono le parole chiave di cui abbiamo davvero conosciuto il significato dopo circa 13 mesi di scuola in DAD. Abbiamo imparato a conoscerne il senso ma speriamo di poter mantenere questa corrispondenza anche in futuro, quando avremo gli stessi ragazzini di fronte a noi in presenza e potremo finalmente guardarli negli occhi senza il filtro di una web cam. Un’occasione per ritrovare quell’autonomia del rapporto insegnante-alunno che la DAD ha limitato, quel modo di relazionarsi talvolta amichevole e altre autoritario che è alla base della scuola, quell’affettività di cui i bambini hanno tanto bisogno.