Scopriamo insieme i metodi migliori per insegnare ai ragazzi come superare le difficoltà
Che la scuola sia diventata un terreno difficile da gestire i docenti lo sanno bene. Molte classi presentano aspetti problematici che non è sempre facile gestire, mentre in altri casi si tratta di comportamenti problematici appartenenti al singolo o a un piccolo nucleo del gruppo. In ogni caso, è compito del docente elaborare strategie di intervento per portare alla luce il problema e risolverlo insieme all’alunno.
Le difficoltà che incontrano i ragazzi a scuola: l’autogestione
Un elemento comune di molte classi è la manifestazione di situazioni problematiche in specifici momenti del giorno, come la ricreazione, l’ultima parte della lezione o le attività in palestra. Momenti di libertà che rappresentano un fattore di rischio, soprattutto quando il ragazzo conosce bene l’ambiente e le sue potenzialità. In queste situazioni è fondamentale pretendere il rispetto delle regole senza alcuna deroga. Più precisa sarà l’organizzazione e la routine, minore sarà il rischio che il giovane dia sfogo a comportamenti impulsivi. Solo per fare qualche esempio, si possono presentare con naturalezza le attività che verranno svolte, concordare le pause da prendere e riconoscere l’impegno del giovane quando si comporta bene o fa cose meritevoli di lode. In questa direzione, diventa fondamentale il comportamento del docente che dovrà essere autorevole quando descrive tali attività lasciando sempre uno spazio per la discussione, l’approvazione e la condivisione con la classe. Ciò è possibile solo se esprimerà ogni sua idea sotto forma di informazioni e non come vuoti divieti che mettono in allarme anziché creare un clima sereno. Solo coinvolgendo nelle attività, garantendo anche libertà di esprimersi in senso positivo o negativo si potrà creare un clima di collaborazione e approvazione. Seguendo un antico detto di Tagore: "Se mi dici una cosa, posso dimenticarla. Se me la mostri, può darsi che me la ricordi. Ma se mi coinvolgi, non la dimenticherò mai più". Può essere d’aiuto, in situazioni difficili, una riorganizzazione logistica della classe che parte dalla gestione dei banchi e degli arredi. Scegliere il posto giusto per il bambino significa, infatti, migliorare la visuale dell’alunno per imparare a gestirlo elaborando strategie specifiche per coinvolgerlo e interessarlo, ma allo stesso tempo, anche per intervenire in caso di comportamenti inadeguati. Non solo, creare spazi tra i banchi consente al docente di camminare controllando le attività svolte e stabilire i gruppi da unire e quelli da dividere. Spesso la gestione della classe in questo senso può risolvere gran parte delle problematiche.
Didattica positiva: come fare
Creare un clima sereno in classe basato sulla fiducia, la collaborazione e l'approvazione, semplifica sia la didattica che i rapporti interpersonali e offre la possibilità a voi docenti di entrare meglio nel sistema giovanile cercando di trarne il meglio. Quando un giovane si fida di un adulto, è in grado di parlargli delle sue difficoltà, dei motivi per i quali non riesce più ad avanzare e dei blocchi che lo assillano. Al netto dei programmi che avanzano, conquistare la stima e la fiducia di una parte della classe rappresenta oggi la vittoria più grande, soprattutto dopo un periodo così difficile come quello che stiamo vivendo. Uno studente che si apre è una finestra aperta sul futuro, un foglio bianco su cui iniziare a scrivere finalmente cose positive, evitando comportamenti difficili e talvolta devianti. Ma cosa può fare un docente per insegnare ai ragazzi a superare le difficoltà? In primo luogo, insegnare a non scappare ma ad affrontare il problema. Secondo uno studio elaborato in Italia da un gruppo di psicologi, infatti, oggi l’80% dei giovani ha un atteggiamento deresponsabilizzante nei confronti dei compiti che deve svolgere e delle relazioni che vive. Tale comportamento non nasce dalla mancata volontà di impegnarsi, quanto piuttosto dalla paura di affrontare situazioni problematiche difficili da risolvere. Il compito del docente, in questa prospettiva, è quello di guidare i ragazzi verso la consapevolezza delle proprie potenzialità, dando loro gli strumenti giusti per affrontare la paura che li soggioga. Ma per raggiungere obiettivi di questo tipo è necessario avere un atteggiamento accogliente e non repulsivo, di comprensione e non di scandalo verso i comportamenti inadeguati e ribelli, ricordando che ogni generazione è di scandalo per quella precedente. Ecco, aiutare a superare le difficoltà significa immedesimarsi, comprendere, accogliere, essere aperti all’ascolto. Capire quali sono le paure per tirarle fuori e affrontarle con coraggio. Sempre.
L’aiuto che arriva dalla psicologia
Secondo la corrente di pensiero cosiddetta Rogeriana, che studia tra le altre cose i rapporti tra alunni e docente, è importante instaurare un rapporto di fiducia reciproca e di dialogo che non è assenza di autorevolezza, non è invertire il ruolo studente-insegnante in amico-amico, ma è un gesto di aiuto con cui si porge la mano al giovane in difficoltà o al gruppo che presenta comportamenti problematici. Secondo il noto psicologo Roger, la scuola dovrebbe fornire a voi docenti una formazione precisa in tal senso, anche attraverso simulazioni di lezioni non più frontali ma centrate sull’ascolto, il confronto e la discussione. Un confronto che non vuole mettere in discussione l’autorità, quanto piuttosto accettare punti di vista diversi, volti all’accoglienza e all’accettazione dell’altro. In quest’ottica, è possibile conquistare la fiducia del giovane per aiutarlo a superare le difficoltà sia di natura didattica che personale. Dopo l’ascolto, il giovane deve essere accompagnato in un percorso di aiuto. Se si tratta di difficoltà didattiche, il docente dovrà elaborare un programma di sostegno con progetti cuciti su misura: schede esemplificative, utilizzo di mappe concettuali, mappe mentali ed esercitazioni in classe. Se si organizzano progetti da realizzare in gruppo, occorre fare attenzione ai compagni da associare per agevolare il suo lavoro, aiutarlo ad aprirsi anche con gli altri senza mortificarlo. Non dimenticate di monitorare il giovane costantemente ma con discrezione, osservandolo e tenendosi pronti all’ascolto ogni volta che lo richiede. Quando, invece, si parla di problemi personali, familiari o relazionali bisogna sempre porsi in atteggiamento di accoglienza e comprensione. Ciononostante, se si tratta di situazioni complesse si può invitare il giovane a rivolgersi a un centro di ascolto, solitamente attivo in ogni scuola.
Insegnare il problem solving ai ragazzi
Aiutare il giovane a superare gli ostacoli rientra in quel processo chiamato problem solving, ovvero quel percorso cognitivo con il quale ogni situazione deve essere analizzata per poter trovare una soluzione. Si tratta di una competenza richiesta in molti ambiti della vita quotidiana, come quello professionale, anche se oggi viene impiegato anche nella scuola e in ambito accademico. Acquisire il problem solving, infatti, significa affrontare la realtà con creatività, imparando ad avere un pensiero critico e una gestione adeguata dei sentimenti. Il suo sviluppo è graduale e consente di sostenere un ragionamento strutturato con la finalità di risolvere anche situazioni molto complesse. Tale procedura, però, richiede alcune azioni: - comprendere: lo studente prende coscienza del problema, acquisisce gli elementi che lo compongono e si domanda se ha mai affrontato una situazione di questo genere; - prevedere: il giovane inizia a riflettere e ragionare, chiedendosi quali siano gli strumenti che gli occorrono per risolverlo; - pianificare: si tratta già della fase risolutiva in cui si raccolgono tutte le informazioni in proprio possesso e le conoscenze acquisite; - monitorare: nel corso dello svolgimento del compito, lo studente si domanda se è vicino alla soluzione, se è meglio cambiare percorso o se necessita di un aiuto, - valutare: il problema è stato risolto e il compito svolto. Ciononostante, occorre domandarsi se ciò è avvenuto nei tempi stabiliti e se il percorso intrapreso è quello giusto; se ci sono degli errori li analizza e ci si chiede come migliorare. Questo processo si può applicare a qualsiasi disciplina, anche se è particolarmente adatto con la matematica. In questo caso si possono proporre quesiti utilizzando forme più complesse, anche se richiedono operazioni semplici per la loro risoluzione, affinché il giovane utilizzi la logica per giungere alla loro risoluzione. Ovviamente, lo stesso metodo può essere applicato anche nelle discipline umanistiche per capire processi ed eventi in modo approfondito. Il problem solving, ovviamente, non serve solo a scuola ma soprattutto nella vita futura del giovane che imparerà a individuare la migliore strategia al problema che gli si pone di fronte, comprendendo anche gli errori che ha compiuto e che lo hanno condotto verso la scelta sbagliata. Insomma, il problem solving aiuta a conquistare un’adeguata capacità critica e di analisi con cui ogni problema viene sviscerato per conoscerne non solo le caratteristiche che lo caratterizzano ma anche il percorso per risolverlo. L’abilità di elaborare un pensiero produttivo, detto anche creativo, è il segnale che il ragazzo ha superato la tendenza a elaborare solo pensieri dettati da automatismi, chiamati pensieri riproduttivi e che non sono flessibili e duttili. Infatti, il pensiero creativo consente di esaminare la questione da punti di vista differenti, guardandola da una prospettiva più ampia. In questo modo, si ha la possibilità di catturare quegli aspetti che costituiscono il problema cogliendone anche i collegamenti più sottili. In altre parole, l’obiettivo del problem solving è formare essere pensanti, in grado di affrontare la vita e le sue continue evoluzioni.