Razzismo: le parole per combatterlo
Il 21 marzo ricorre la Giornata Internazionale per l’eliminazione della discriminazione razziale e vogliamo affrontare il tema concentrandoci su come il linguaggio sia veicolo di questo tipo di discriminazione. Si parla moltissimo di linguaggio inclusivo, ma lo si fa soprattutto da una prospettiva di genere e a noi pare altrettanto importante sottolineare quanto le parole che usiamo possano esprimere e diffondere un razzismo strutturale, spesso inconsapevole.
La scuola multietnica è un laboratorio di inclusione
Le parole, lo sappiamo, non sono mai neutre: possono unire o dividere, includere o escludere; e sono fondamentali nel costruire una cultura. Questo tema è particolarmente rilevante nelle scuole, dove il linguaggio non solo riflette la società, ma contribuisce a plasmarla. E in una società sempre più multietnica come la nostra è fondamentale favorire l’inclusione di studenti e studentesse che hanno origine straniera, combattendo il razzismo e i bias inconsapevoli che permeano il nostro linguaggio. A partire dal loro aspetto, infatti, assegniamo anche involontariamente a determinate persone e gruppi caratteristiche ritenute naturali e che dovrebbero spiegare il loro comportamento, attribuire loro un maggiore o minore valore sociale, autorizzare trattamenti di preferenza o discriminazione. Un esempio? Ci sono due parole diverse per definire persone che hanno lasciato il loro Paese in cerca di opportunità all’estero. Se pensiamo a persone italiane le chiameremo ‘expat’, se ci riferiamo a ragazze o ragazzi partiti da un Paese africano, mediorientale o sudamericano per venire in Italia li chiameremo ‘immigrati’. Con tutte le connotazioni - positive per la prima, negative per la seconda - che queste due parole si portano dietro.
Razzismo e classismo
Il razzismo, inoltre, spesso è intrecciato al classismo. Un migrante è immaginato istintivamente povero o comunque appartenente a un livello socioeconomico basso - tanto è vero che si tende a dargli del tu. O ancora, un ragazzo che deve scegliere la scuola superiore sarà incoraggiato a iscriversi a un professionale o a un istituto tecnico, perché sì è restii a pensare che possa ambire all’università.
Qualche idea per riflettere e cambiare
E allora come promuovere un linguaggio inclusivo in classe? Possiamo fare attenzione al modo in cui si racconta la storia: il linguaggio dei libri di testo può perpetuare un’idea eurocentrica del mondo. È utile invece introdurre voci diverse, raccontare eventi storici dal punto di vista dei popoli colonizzati o includere autori provenienti da contesti differenti.
Occhio alle parole, appunto: nel tentativo di essere inclusivi, si rischia di usare un tono pietistico (“povero ragazzo, viene da un Paese difficile”). Un approccio più rispettoso mira a valorizzare le esperienze e i punti di forza di ogni studente, senza ridurlo a una narrazione di difficoltà e sofferenza.
E ancora: proponiamo esercizi che aiutino studentesse e studenti a riconoscere i bias linguistici nei media, nei social network e nei discorsi quotidiani. Ad esempio, si può analizzare il modo in cui i giornali parlano di criminalità in relazione all’etnia o alla classe sociale.
Infine: organizziamo momenti di discussione in cui esprimere le proprie esperienze e opinioni, magari partendo da materiale online come questo. Chiedere a studentesse e studenti di portare esempi di linguaggio discriminatorio e riflettere insieme su alternative più rispettose può essere molto efficace.
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