La scuola è luce: intervista ad Antonella Di Bartolo, dirigente dello IC Sperone-Pertini di Palermo

31 marzo 2025 3 minuti
LA VOCE DEI DOCENTI

Educare significa aprire orizzonti, restituire futuro, costruire relazioni. In un tempo in cui la scuola fatica a trovare spazio nel dibattito pubblico e rischia di essere ridotta a contenitore di prestazioni, ci sono luoghi dove l'educazione si fa ancora azione trasformativa, cura collettiva, responsabilità civile. Lo abbiamo toccato con mano a Didacta nell’ambito della rassegna Fuori Classe, organizzata da Gruppo Spaggiari Parma, dove la dirigente dell'Istituto Comprensivo Sperone Pertini di Palermo ci ha colpito per la forza della sua visione. Una visione che ha raccontato anche nel suo libro “Domani c'è scuola”, edito dal Gruppo Mondadori. 

 

Così l'abbiamo incontrata di nuovo per parlare di scuola, educazione, territorio, dignità e futuro.

 

 

Una scuola che si fa voce del quartiere

È accaduto tutto pochi giorni prima dell'intervista: un'installazione artistica, ispirata all'opera Comedian di Cattelan, è apparsa davanti a un cantiere abbandonato al quartiere Sperone. Al posto della banana, dei bambolotti legati con nastro adesivo. Al posto della parete di una galleria, una recinzione da cantiere: quello che avrebbe dovuto diventare un asilo nido.

«Lo abbiamo chiamato "Questa non è un'opera d'arte" – racconta la dirigente – perché quello che abbiamo sotto gli occhi ogni giorno non è arte, è un diritto negato. Un asilo nido mai completato, fermo da mesi, nonostante i fondi del PNRR. In un quartiere con un tasso di dispersione scolastica che era quasi del 27,3% e che conta 3.000 bambini da 0 a 3 anni senza un solo nido funzionante.»
L'iniziativa nasce dalle Rosalie Ribelli, un gruppo informale di cittadine e mamme del quartiere, in collaborazione con la scuola. «L'asilo nido non è qualcosa che l'Istituto potrà mai gestire – precisa – ma la scuola è in osmosi continua con il territorio. Entrano le famiglie, escono i progetti, entra il quartiere, esce la scuola. E allora è giusto dare voce a chi chiede diritti.»

 

 

La scuola è luce. Letteralmente.

Ma partiamo dall’inizio. Due anni fa, nei quartieri Sperone e Brancaccio, l'illuminazione pubblica venne meno per mesi, a causa del furto di rame dalle centraline.
«Abbiamo acceso tutte le luci delle scuole. Sette plessi, sette fari nel buio. L'indomani i bambini ci hanno detto: "Mi sono affacciato e l'unica luce era la mia scuola". Quella luce - i nostri alunni - non la scorderanno mai. E nemmeno noi.»

 

 

Una comunità professionale

La scuola non può limitarsi a trasmettere saperi: deve essere un hub educativo, un punto di riferimento territoriale che genera relazioni, orientamento e fiducia. È uno spazio in cui si costruisce una comunità e si condividono prospettive: «Non basta fare: serve un pensiero, un'idea forte di scuola. Una visione condivisa capace di guidare l'azione quotidiana e trasformare la complessità in progettualità. 
E serve fierezza: essere fieri del proprio lavoro significa sapere che sei utile e indispensabile. Tutti lo siamo: docenti, personale ATA, collaboratori, amministrativi. Ciascuno può cambiare qualcosa. Ma bisogna avere un pensiero condiviso. Una visione comune.
»
Per questo il collegio docenti, dice, non è solo un organo tecnico, ma è un luogo di elaborazione collettiva, di costruzione di senso: «Se vuoi portare valore, devi avere un pensiero importante. E condividerlo. Solo così non ti senti solo.»

 

 

Aprire finestre

«I nostri bambini non hanno la possibilità di aprire tante finestre sul mondo. Per questo noi dobbiamo aprirle al posto loro
Con i fondi europei, l'Istituto ha portato avanti progetti Erasmus, percorsi teatrali, musicali, culturali. Ha vinto bandi, costruito alleanze, dato ai bambini e alle famiglie occasioni concrete di crescita.
«Ma non basta offrire attività e ambienti decenti. Dobbiamo aiutare i bambini a concepire un desiderio, a costruire un immaginario. E insegnare loro a tenere la testa alta. Letteralmente.»
Durante il corteo per i 400 anni di Santa Rosalia, i bambini indossavano coroncine fatte da loro e dalle loro famiglie.
«Ciascuna rappresentava un talento, un desiderio. Come Salvo, che sogna di diventare chef. Portare quella coroncina è un gesto fiero. Non è resilienza. È resistenza.»

 

 

Cura, responsabilità, riconoscenza

La dirigente racconta il primo impatto con il quartiere come un momento durissimo.
«Venivo da scuole più facili. Insegnavo inglese, la mia passione. Qui ho attraversato momenti di disperazione. Ma ho imparato. E quando ho visto gli sguardi cambiare, ho capito che qualcosa stava funzionando.»
Piccole azioni concrete in una scuola in cui le lavagne erano usate al posto delle porte dei bagni: pulire il giardino della scuola, aggiustare i vetri, comprare una rete da pallavolo con i propri soldi.
«Quando ho consegnato quella rete ai ragazzi, ho detto: “È vostra”. E oggi è ancora lì. Non ci sono più vetri rotti, né buchi nelle porte. Questo passaggio di cura e responsabilità è un regalo enorme.»
Oggi la dirigente dice che è in debito di riconoscenza con il quartiere. «Un debito bello. Una molla motivazionale potentissima. Che si deve contagiare.»

 

 

Un messaggio ai docenti italiani

Alla fine dell'incontro, lasciamo a lei l'ultima parola. Cosa direbbe a tutte le insegnanti e gli insegnanti d'Italia?
«Ogni mattina, prima di entrare in classe, pensate a cosa vi ha portati lì. Alla meraviglia che potete generare. E poi entrate con un gran sorriso. Non per forma. Ma per orgoglio. È un privilegio.»
 

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